venerdì 28 febbraio 2014

Pane nero con Tumminia - lavorazione con BIGA


Il "pane nero di Tumminia" viene realizzato con l'impiego di farina di Tumminia (per saperne di più su questo tipo di grano antico, clicca qui). Il disciplinare prevede che per definirlo tale, un pane deve contenerne almeno il 20%, ma può essere impiegato anche al 100%. Si tratta di una farina che presenta notevoli vantaggi, ma anche alcune limitazioni per una panificazione "casalinga", in quanto durante la lavorazione produce una notevole collosità, mentre la bassa percentuale di glutine, se rende il pane estremamente digeribile, ne limita in parte la lavorabilità.
La ricetta che presento qui, potrebbe fare storcere il naso ai "puristi" per la presenza di una farina forte, ma ho scelto questo "compromesso" per guadagnare benefici dalla lievitazione lunga, che con la sola tumminia o con una sua prevalenza, non darebbe dei buoni risultati. In ogni caso la percentuale di circa il 65% di tumminia ritengo che sia ben al di sopra di quanto preveda il disciplinare.


Ingredienti I impasto:

  • 500 gr farina "forte" (meglio se tipo 1 o 2)
  • 250 gr acqua
  • 3 gr lievito compresso
  • 10 gr malto o zucchero.


Impastare acqua e farina e far riposare 1/2 ore per favorire l'autolisi. Preparare una "biga" di 24/36 ore (aggiungere all'impasto lievito e malto, e mettere a lievitare in frigo per 24/36 ore).

Ingredienti II impasto:

  • 700 gr farina integrale di tumminia
  • 300 gr acqua
  • 30 gr sale
  • 50 gr lievito madre (o 3 gr lievito compresso).
A scelta si possono aggiungere anche un po' di semini aromtici, tipo: girasole, zucca, lino, papavero, per conferire ulteriore gusto e nutrienti.

Anche per questo II impasto è preferibile favorire l'autolisi come sopra.


Una volta fatta riposare il II impasto i due vanno uniti e impastati per bene. Proseguire poi come di consueto con "puntatura e pirlatura". Mettere la pagnotta a lievitare in una ciotola ricvestita da un canovaccio ben infarinato. A lievitazione ultimata (la pagnotta eve triplicare), capovolgere CON ASSOLUTA DELICATEZZA sulla pala da forno o teglia, incidere a croce ed infornare. Cuocere preferibilmente in forno a legna.






IL GRANO E LA FARINA TIMILIA O TUMMINIA
Il grano Timilia, il cui nome scientifico è Triticum durum Desf. var. affine Koern, è unfrumento con cariosside scura che resiste bene alla siccità considerato un grano duro in via di estinzione nonostante la sua facile produttività, in quanto negli ultimi decenni poco richiesto dalla grande distribuzione, è ormai diventato un prodotto raro e pregiato. Conosciuto in Sicilia, ma anche nel resto d’'Italia con i nomi di dialettali: tumminia, timminia, trimminia.

Il grano Timilia veniva coltivato già nel periodo greco con il nome di trimeniaios, è una varietà antica di grano duro a ciclo breve, il periodo di semina è marzo nelle zone collinari (può essere anticipato a gennaio nelle zone marittime) per questo motivo è chiamato anche grano marzuolo, veniva impiegato nelle primavere successive ad autunni piovosi che non consentivano la crescita di altri tipi di grano outilizzato per il ringrano e spesso come coltura miglioratrice, per i campi.
È un grano molto resistente alla siccità, adatto alle coltivazioni in paesi caldi e secchi, per questo motivo prese piede nelle regioni del sud Italia come la Sicilia, ma anche del sud Europa (Francia, Spagna e Portogallo) e nei paesi del Nord Africa che si affacciano sul Mediterraneo, durante il primo cinquantennio del secolo scorso.
Non richiede grandi tecniche di coltivazione e cure particolari, per questo è adatto anche alle coltivazioni biologiche.
Negli anni 30 la Stazione di Granicoltura per la Sicilia ha selezionato due varietà di Timilia denominate: Timilia S. G. 1 (a reste nere) e Timilia S.G.2 (a reste bianche).
Grazie la tenacia di produttori e dei coltivatori locali il grano Timilia, negli ultimi anni ha riconquistato un posto di riguardo nella produzione di grano in Sicilia, soprattutto nelle aree del trapanese e del palermitano dove le coltivazioni si estendono per circa 200 ettari e circa 100 ettari per altrigrani antichi.

La Farina di Timilia

La Farina diTimilia è prodotta per mezzo di antiche macine a pietra nella zona del trapanese, seguendo le antiche tradizioni; è una farina integrale poco burattata, essa contiene molti oligo elementi del germe di grano e della crusca; presenta un alto valore proteico e un basso indice di glutine. Questa farina è molto indicata per la panificazione, in aggiunta con altre semole siciliane, essa deve essere consumata in tempi relativamente brevi (circa 4 mesi) per non perdere le sue qualità organolettiche.

La farina di Timilia, dopo la molitura, presenta un colore grigiastro, diverso dalle farine commerciali a cui solitamente siamo abituati; i prodotti alimentari che derivano dall'’impiego di questa farina sono pani integrali o pani scuri chiamat icosi proprio per il caratteristico colore scuro dell'’impasto e della mollica.
Il pane tipico prodotto con questa particolare farina è chiamato “Pane nero di Castelvetrano”, originario di un piccolo paese omonimo della provincia trapanese. Il pane di farina Timilia è molto profumato, con un buon apporto nutrizionale e grazie all’'impiego delle paste acide (lievito naturale) ha una lunga durata, si conserva per alcuni giorni morbido e profumato.

Grazie alle innovazioni alimentari introdotte dalle ditte produttrici, questa farina viene impiegata anche per la produzione di pasta artigianale fresca e secca. Un prodotto dal sapore intenso e deciso che si sposa bene con i sughi ricchi di storia e di cultura della cucina siciliana.


I vantaggi dell’autolisi (Giorilli)
La tecnica dell’autolisi conferisce al prodotto finale un sapore caratteristico, un ottimo sviluppo e una più lunga conservazione. Questo sistema ha, inoltre, il vantaggio di ridurre i tempi di lavorazione, mentre la consistenza dell’impasto diventa particolarmente liscia e malleabile, la formatura risulta più agevole e il prodotto finito presenta volume superiore, migliore alveolatura e maggiore sofficità della mollica. Tutti questi vantaggi sono il risultato di processi fisici e chimici che hanno luogo durante il riposo della pasta. In questa fase, infatti, l’impasto subisce, al suo interno, importanti modifiche. In particolare avviene l’idrolisi (dal greco hydro = acqua, e lysis = sciogliere, è l’insieme di diverse reazioni chimiche in cui una molecola viene scissa in due o più parti per inserimento di una molecola di acqua) dei suoi componenti ad opera degli enzimi (in particolare amilasi e proteasi), attivati dall’acqua dell’impasto. Sotto l’azione degli enzimi amilasi, l’amido si scinde in zuccheri, fornendo così elementi nutritivi ai lieviti contenuti nell’impasto. Di conseguenza, la fermentazione successiva dell’impasto finale sarà agevolata e anche le caratteristiche organolettiche del prodotto finale saranno migliori (il gusto e il profumo in particolare). Gli enzimi proteasi, invece, sono protagonisti della reazione di proteolisi. Si tratta di un processo che avviene normalmente in tutti gli impasti, ma che si sviluppa soprattutto durante il periodo di riposo e consiste nella “frantumazione” della maglia glutinica dell’impasto in pezzi più piccoli. In questo modo le catene proteiche si allungano e la pasta acquista maggiore estensibilità, diventando più malleabile. La proteolisi può essere più o meno attiva in relazione a diversi fattori: la struttura delle proteine (in particolare le proprietà del glutine ), l’attività enzimatica della farina, la presenza nell’impasto di determinate sostanze, la temperatura dell’impasto ecc… Se la proteolisi è la reazione base che avviene nell’impasto autolitico, non è l’unica che trasforma le proprietà del glutine della pasta. Nell’impasto avviene, infatti, anche una reazione opposta, ovvero il rafforzamento della maglia glutinica dovuto all’azione dell’ossigeno dell’aria, inglobato dalla pasta durante la lavorazione (reazione di ossidazione). Come conseguenza, il glutine si rinforza, diventa più elastico e sarà in grado di assorbire quantità superiori d’acqua. Tale reazione avviene soprattutto nella prima e nell’ultima fase (quella dell’impasto finale). In misura minore, si sviluppa anche durante il riposo della pasta. Proteolisi e ossidazione, agiscono quindi contemporaneamente sulla maglia glutinica. Di conseguenza, le catene proteiche si allungano, si gonfiano, assorbendo aria e acqua, e completano la loro idratazione; così l’impasto durante la lavorazione finale raggiunge la migliore consistenza in periodo più breve e con quantità d’acqua maggiori. In altri termini, l’autolisi è una tecnica, che dona all’impasto una particolare estensibilità, ma nello stesso tempo migliora l’elasticità e il grado d’assorbimento dell’acqua. I tempi d’impasto si riducono e l’impasto risulta particolarmente liscio. Questa tecnica è particolarmente utile per la panificazione con il lievito naturale (date le caratteristiche dell’impasto, che risulta sempre un po’ più “nervoso”, meno liscio rispetto a quello a base di lievito compresso, a causa dell’acidità contenuta; caratteristica questa, ancora più marcata se il lievito naturale è più forte o più acido del dovuto), oppure quando si utilizzano farine molto resistenti. Per gli impasti de6i dolci da ricorrenza a base di lievito naturale, che contengono un’alta percentuale di materia grassa e hanno naturalmente una buona estensibilità, questa tecnica non offre vantaggi particolarmente evidenti, mentre per gli impasti con lievito naturale non contenenti i condimenti risulta quasi indispensabile.

1 commento:

  1. peccato che non posso trovare tale Tumminia qui` negli USA,,,Sento l`odore dalla foto,,mizzika!Graazie !

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