martedì 17 settembre 2013

babà napoletano


Ingredienti babà (N.B. Per altre 3 ricette vedere in fondo al post):

RICETTA 1

Farina gr 500 (RIGOROSAMENTE "forte" ossia del tipo speciale, detta "americana" o "manitoba"); uova 6, acqua 90 gr, zucchero 50 gr, lievito di birra 30 gr; burro gr 150; sale 10 gr.



RICETTA 2 (S. Sirica)

  • farina americana 500 gr
  • sale 10 gr
  • zucchero 50 gr
  • lievito di birra 20 gr
  • uova 670 gr
  • burro 175 g
Inserire nell'impastatrice la farina, il sale e 1/3 delle uova, aggiungere il lievito di birra, poi gradatamente le restanti uova. Aggiungere poi lo zucchero e far assorbire. Poi il burro morbido poco per volta. Impastare fino alla prova del velo. Far puntare mezz'ora poi inserire negli appositi stampi per 1/3.


Cottura a 210° per 10/15 minuti secondo grandezza ed in base alle caratteristiche del forno!


Bagna:
Acqua 1 litro; zucchero 6-800 gr (secondo gusto, anche meno); rum a 70° o liquori di agrumi 100 gr; scorze di agrumi vari.

Attrezzatura:
20 bicchierini di alluminio, o uno stampo grande per babà, una frusta elettrica con innesto a spirale

lavorazione:


Preparare un panetto qualche ora prima di iniziare la lavorazione, con il lievito, 50 gr di farina e qualche manciata di acqua; 



aggiungere poi la restante farina, le uova (inizialmente solo 4) poi  lo zucchero e il sale, poi le altre due uova, e lavorare lentamente con l'aiuto di una frusta elettrica usando le spirali. Lavorare a lungo. 


Quando la pasta è ben soda, incorporarvi il burro a temperatura ambiente e lavorare ancora abbastanza a lungo (lentamente e facendo ripetute interruzioni per evitare che la frusta surriscaldi troppo). Quando la pasta è ben liscia e setosa ed ha una consistenza molto elastica (VERIFICARE CON LA "prova del velo"), effettuare la puntatura e pirlatura realizzando o una massa grande per il savarin o delle palline da 40 gr. Le palline vanno arrotolate ed inserite negli appositi bicchierini di alluminio (o tutto l'impasto nello stampo unico da savarin) preventivamente imburrati. Gli stampi vanno riempiti per 1/3.

Qui di seguito un breve video per mostrare la tecnica usata dai maestri pasticcieri napoletani, che "mozzano" la pasta "strozzandola" tra indice e pollice:







Far riposare, al chiuso, circa 1,5 ore (anche 2 se d'inverno) e comunque fino a quando la pasta non inizia a sbordare. Cuocere in forno già caldo a 200° fino a quando i baba' non raggiungono una colorazione nocciola chiaro. Far raffreddare, nel frattempo sciogliere lo zucchero in acqua calda e far insaporire con le scorze di agrumi mettervi il rum e/o il liquore di agrumi secondo il proprio gusto ed inzupparvi i baba' nello sciroppo ancora ben caldo. Assicurarsi che siano completamente imbevuti di sciroppo. Strizzarli per espellere il liquido eccedente, gustarli preferibilmente il giorno successivo. 

A piacere spennellare con gelatina di albicocca o neutra per favorirne la conservazione (la gelatina previene la dispersione di umidità), ma anche per renderlo più invitante e più lucido:

per una guarnizione più sontuosa si possono applicare dei mini savarin sopra un savarin grande:







Il Babà


Il babà è senza dubbio insieme alla sfogliatella ed alla pastiera, il pilastro potante della pasticceria napoletana. Pur essendo un dolce che fa categoria a se stante, potremmo tranquillamente farlo rientrare nella più vasta categorie delle paste lievitate, e più specificatamente nelle brioches, dal momento che trattasi proprio di una brioche che viene poi sottoposta ad una tipica inzuppatura.
Come tutte le brioches, quindi, prevede l'impiego di farina di forza, uova, burro, lievito compresso, e con l'unica variante che la quantità di zucchero è ridotta al minimo dal momento che il dolce viene zuccherato dallo sciroppo con cui si inzuppa. Come tutti i prodotti lievitati quindi necessita della formazione di una maglia glutinica molto resistente, tale da reggere non solo la lievitazione, ma deve anche conservare un'elevatissima capacità di idratazione dopo la cottura. Per questa ragione la farina indicata deve avere determinate caratteristiche (vedi pag. 4), in assenza delle quali un risultato soddisfacente può essere seriamente compromesso.
La tecnica indicata è la stessa dei lievitati, ossia la preparazione di pre-lievito, la formazione di maglia glutinica con una lavorazione prolungata di farina e uova, ed una volta formata la maglia glutinica si aggiunge il burro. La pasta deve risultare liscia e setosa di aspetto, e estremamente elastica. E' consigliato osservare un breve periodo di riposo, dopo il quale si provvede a spezzare la pasta e collocarla nello stampo prescelto (bicchiere di alluminio per il babà classico o stampino per mini savarin, p stampo grande per ciambella per savarin grande). La pasta viene lasciata a lievitare fino al raddoppio, proseguendo poi con la cottura a forno sostenuto per evitare un'eccessiva asciugatura.
La bagna si prepara facendo sciogliere tutto lo zucchero in acqua calda dove si è lasciata in infusione la buccia degli agrumi (60/70°) ed incorporando il liquore.

Per facilitare l'inzuppatura è consigliabile usare lo sciroppo ben caldo (50/60°).
E' preferibile anche preparare (e cuocere) il babà due giorni prima, ed inzupparlo il giorno prima del suo impiego, ciò per favorire una buona amalgama dei 4 sapori fondamentali: uova, burro, lievito e rhum.  

NOTA SU: SAVARIN E BABÀ
Il savarin ha avuto questo nome in onore di Jean Anthelme Brillat-Savarin , nato a Belley in Francia il 1° aprile 1755 e morto a Parigi nel febbraio 1826 . È comunque assai probabile che Savarin non abbia neppur saputo di tanta attenzione, perchè ne sarebbe stato felice.
Brillat-Savarin fu giurista , politico, uomo di ampia cultura e di attento studio dei suoi contemporanei. Scrisse numerose opere di economia politica, di teoria giudiziaria, di archeologia, ma stranamente deve la sua fama alla "Fisiologia del gusto " (ovvero meditazioni di gastronomia trascendente).
È forse un momento felice , per questo genere di scritti ; nello stesso anno e dallo stesso editore (A.C.F. Fayot) Antoinin Carèrne fa uscire "Aforismi, pensieri e massime " sulla buona cucina.
Ed in Germania C.F. von Rumhor dà alle stampe lo "Spirito dell 'arte culinaria" sotto il falso nome di Joseph K6nig, che in effetti era il suo cuoco. Ma è fuor di dubbio che la versatilità e lo spirito di Brillat-Savarin, sopravanzano di gran lunga gli autori suoi contemporanei (del genere) anche se il libro impiega un certo tempo ad esser preso in considerazione.
La vita di Brillat-Savarin scorre per un lungo periodo tranquilla tra Belley e Parigi, finché viene sconvolta dalla Rivoluzione, che nel 1792 lo induce ad espatriare, prima in Svizzera poi negli Stati Uniti.
Rientra tre anni dopo , e placatisi gli animi, egli viene riammesso in magistratura, dove perviene sino al grado di Presidente di Cassazione.
Da quel momento inizia la sua attività letteraria. La "Fisiologia del gusto " si rivela un ottimo lavoro di uomo di buona cultura e di profondo spirito di osservazione ; con la stessa incisività vi si leggono divagazioni sull'abbigliamento e sull'apparecchiare la tavola, come sulla preparazione dell'anguilla e la cottura del rombo.
Ma è tutt'altro che un libro di cucina; è un libro sulla filosofia della buona cucina.
L'Autore sarà stato senza dubbio un goloso, ma era del pari, certamente, anche un esteta.
Si potrebbe esser sfiorati dal dubbio che Brillat-Savarin sia morto di indigestione; no, egli muore di un banale raffreddore trascurato che si è buscato ad una messa funebre.
A lui dunque, ed alla sua personalità viene dedicato un dolce , a forma di ciambella, che ormai tutti chiamiamo "savarin", forse senza neppure chiedersi perché. Concettualmente però, non è un dolce nuovo, perché il suo impasto discende direttamente dal più antico BABÀ, arricchito e guarnito.
Quindi di sfuggita accenniamo al BABÀ. Babà è parola di origine turca, ed al di là del proprio significato letterale di "padre", è attributo di considerazione che si esprime a persone di grande rispetto.
Occasionalmente diremo che il capo più occidentale dell'Anatolia è Capo Babà; ma questo non c'entra niente!
Orbene agli inizi del 1700, il re di Polonia Stanislao I, aveva tra i suoi cuochi un giovane pasticciere, proveniente dall 'Anatolia, di nome Kara, che gli aveva inventato e dedicato un dolce a forma conica, come il copricapo turco.
Dolce inzuppato e profumato , come tutti i dolci anche parzialmente orientali. Quando Stanislao Leszczynski, nel 1735, venne spodestato dal suo trono, dovette rifugiarsi nel piccolo Ducato di Lorena, dove riprese in tono minore la sua vita di corte. Qui il babà veniva servito nei suoi pranzi, qui era conosciuto e consumato e da qui esportato
verso Parigi.
Si inzuppava allora di sciroppo e di cognac; l'uso di umettarlo con rum è assai più recente. Quanta parte di ciò sia storia e quanta leggenda, non sapremmo precisare; siamo venuti a conoscenza di queste notizie e le trasmettiamo in piena buona fede.
D'altra parte in cose ben più importanti di queste, la leggenda entra a far parte della storia, con santa pace per tutti.

IL BABA’: Tra storia e leggenda, dalla musicalità della parola alla piacevolezza del palato 

I napoletani hanno il pregio di dare, col loro dialetto, musicalità ad una frase, a un discorso. Il dialetto partenopeo è l’unico linguaggio regi
onale così adatto alla musica: le parole si accorciano e si allungano seguendo le note, si personalizzano facilmente, hanno mille significati a seconda del contesto in cui sono inserite. Questo vale anche per il cibo, la principale preoccupazione quotidiana con cui Napoli ha dovuto fare i conti dal ’600 a tutto il Dopoguerra, sino agli anni ’60, dal precapitalismo alla società postindustriale quando alla povertà si è passati al benessere tale da rendere disponibile più facilmente il cibo per la sopravvivenza fisica senza angoscia. 
I napoletani hanno innumerevoli espressioni in cui il carattere è associato ad uno stato fisico più che mentale, alcune anche un po’ volgari ricche di sfumature la cui traduzione in italiano, a volte, non rende spesso esattamente l’idea di ciò che in realtà si vuole rappresentare. Ad esempio, “si nu’ babbà” detto ad una persona indica qualcuno dal carattere dolce, disponibile, oppure bravo nell’eseguire qualcosa di particolarmente difficile, o, ancora, si può usare per ringraziare di un regalo o di un’attenzione. Ma non solo una persona, anche una cosa può essere “nu’ babà”, magari un oggetto particolarmente bello e funzionante. 
La parola babà ha,quindi, un significato estremamente positivo apprezzato in quanto capace di riflettere i pregi migliori: l’equilibrio dei sapori e di consistenza con cui si esprime questo dolce, la sua praticità e, al tempo stesso, l’estrema pazienza richiesta da ben tre lievitazioni nella ricetta classica.
Il babà è, a pieno titolo, un "dolce di città" perché necessita sapienza consolidata per prepararlo, una profonda conoscenza dei tempi di cottura, di lavorazione e di lievitazione rapportati alla temperatura esterna e all’umidità presente nell’aria, proprio come la pizza. È dolce da città perché da passeggio: si entra, si prende e si mangia continuando la passeggiata, con un piattino e forchetta o usando le mani e dunque, a dispetto delle sue origini,ed è molto "democratico", perché mette sullo stesso piano chi ozia e chi lavora, chi è ricco e chi è povero.
Eppure proprio come la pizza, la pasta, il caffè, il babà non è nato alle pendici del Vesuvio ma nel freddo Nord Europa e, mentre la stragrande maggioranza dei dolci nasce nella civiltà contadina, il babà è di origine reale, frutto di un’idea di Stanislao Leszczynski, due volte re di Polonia, duca di Lorena e suocero di luigi XV. Leggenda vuole che Stanislao, esule in Francia, trascorresse il suo tempo dilettandosi in cucina e apportando bizzarre varianti ai dolci, la sua passione, della tradizione austriaca, come il kugelopf, mezzo panettone e mezzo brioche, apportando nuove e più ricche elaborazioni con l’impasto lievitato tre volte e sbattuto per ottenere una pasta più leggera, dandogli la forma della cupola di Santa Sofia e il nome di Ali Babà, il protagonista de “Le Mille e una notte”. In origine era pieno d’uvetta di Corinto e di Smirne ed era di pasta gialla perché arricchito di zafferano. 
Un altro salto di qualità è la decisione della bagna, necessaria per sostenere la morbidezza del dolce altrimenti destinato rapidamente a pietrificarsi in poche ore, con sciroppo di zucchero e il rhum giamaicano, l’ultimo, all'epoca, dei benefici importati dall’Oltreoceano.
Il dolce venne così introdotto a corte e, da qui, si diffuse successivamente in tutta Europa, benché la sua maggiore diffusione si ebbe, in primis, a Parigi. Qui fu introdotto, all’inizio dell’Ottocento, dal famoso cuoco e sublime pasticciere polacco Sthorer, a Luneville con un proprio laboratorio a rue Montorgueil, ancora oggi esistente al numero 52. Qui si creò il babà a forma di fungo o cappello di cuoco così come sono giunti fino a noi. Più tardi, Jean Anthelme Brillat-Savarin regala ai fratelli Julien il babà a forma di ciambella nel cui centro immergere la frutta per il loro laboratorio sul boulevard St.Honoré: eliminata l’uvetta, aggiunto il burro, una spennellata di marmellata di albicocche per salvare la bagna più a lungo ed è così che da Ali Babà si passa a Babà.
Il Babà è simbolo del filo diretto con cui Napoli è sempre stata legata a Parigi negli ultimi tre secoli. Un legame nato precisamente quando Maria Antonietta sposa Luigi XVI mentre Maria Carolina si lega a soli sedici anni nel 1768 per procura a Ferdinando IV di Borbone. Nasce così l’epopea del gattò, della besciamella, del gratin, degli sciu e di quei termini francesi con cui la cucina napoletana conosce l’influenza d’Oltralpe. Questo dolce impiegherà quasi settant’anni per arrivare a Napoli. Le prime attestazioni documentate risalgono all’inizio dell’Ottocento, in un ricettario misto di piatti francesi e napoletani. L’insediamento ufficiale è nel manuale dell’Angeletti, cuoco di Maria Luigia di Parma (1836). Per molto tempo resterà, quindi, un dolce delle cucine aristocratiche e solo dopo l’Unità d’Italia arriverà nelle pasticcerie, privato definitivamente di una componente (i canditi), aromatizzato e bagnato. Pare che i grandi signori napoletani, infatti, sin dalla fine dell’Ottocento, spedissero i loro cuochi a Parigi, per erudirli sulle haute cuisine. E probabilmente fu proprio uno di questi cuochi che importò il babà a Napoli, conferendogli quella forma e determinando quelle particolari dosi di sciroppo e liquore che hanno fatto di questo dolce un prodotto caratteristico della pasticceria partenopea.
L’ultima moda è il babà al limoncello o alla crema di limone, nato a Capri, un infuso capace di prendere il posto rapidamente del rhum e di aprire così la disputa fra tradizionalisti e innovatori, valorizzando l’agrumato, la necessaria acidità per equilibrare ulteriormente nel babà la sensazione di dolce, a volte zuccherosa quando il rhum è di qualità scadente. Ecco allora la freschezza regalata dagli agrumi e, nel caso del limoncello, dagli oli essenziali della buccia del limone. Una nuova formula anche per il rilancio del dolce...


E non poteva mancare la poesia in dialetto partenopeo


'O babà
Primma ‘e Natale giravano accussì pe’ Napule,
San Giuseppe ‘a Madonna e ‘o Bammeniello,
doppo magnato ‘a cantina, pasta e fasule
cu quatte cape ‘e sasicce e cu ‘e friarielle...
se vuttajeno ‘e spicce ‘e spicce dint’‘a na pasticceria
“Peppì tu ‘o ssaje pe' chisti dolce io, jesco impazzì,
spicialmente p’‘a pasticceria napulitana...è na fantasia
tu piglià chello che vuò j' assaggio stu babà!Me fà murì!
Peppì passame nu sarvietto me stò spurcanno 
chistu babà è chino‘e ruhm…stà scurrenno,
e comm’ è sapurito ‘e ddete me stò alleccanno!
“ Marì ma che faje ‘a ggente te stà guardanno!”
E cche me ne ‘mporta chistu sfizio m’ha dda passà
so’ duimila anne sempe ‘e stessi ccose...uffà!
Peppì Peppì… nun veco ‘o Bammeniello addò stà?
“Marì stà llà, se stà magnanno pur’Isso nu babà!”
Peppì chist’anno ‘e Rre Magi , saje che te voglio dì?
‘o posto ‘e purtà : Oro,‘ncienzo e birra...(‘a mirra Marì!)
‘e facimmo purtà nu paro ‘e guantiere ‘e chisti babà…
p’‘a Madonna tutto ‘o Presepio avimma fà cunzulà!

Altre ricette:
babà 1
·        farina 180 g
·        burro 125 g
·        lievito di birra 20 g
·        zucchero 1 cucchiaio
·        sale 1 pizzico
·        panna liquida 50 g (da incorporare dopo il burro)
·        uova n° 3

babà 2 (P. Fulgente)
·        farina 1000 g
·        burro 300/350 g
·        lievito di birra 50 g
·        zucchero 80 g
·        sale 20 g
·        uova intere (18-20 pezzi) 1000 g


babà 3 (A. Cafiero)
·        farina "0" 250 g
·        burro 80 g
·        lievito di birra 20 g
·        zucchero 25 g
·        sale 1 pizzico
·        uova intere n° 5



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