dedichiamoci al pane



DISPENSA PUBBLICATA IN OCCASIONE DEL CORSO TENUTO PRESSO ACCADEMIA SMEG

Domenica 4 maggio 2014

accademia luce Smeg
via G. Di Maria, 73 - Palermo

in collaborazione con

"In poltronissima"
e
"Molini del Ponte" di F. Drago

DEDICHIAMOCI
AL PANE

MOMENTO DI CONDIVISIONE SULLA CONOSCENZA E PREPARAZIONE IN CASA DI UN ALIMENTO FONDAMENTALE PER UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE









La panificazione è un processo biochimico attraverso il quale una popolazione di microrganismi (lieviti e batteri) metabolizzano gli zuccheri semplici e complessi presenti nella farina, così producendo acidi, anidride carbonica ed alcol etilico.
I protagonisti principali della panificazione sono:
La farina
Il lievito
acqua
ingredienti secondari (sale, zucchero, malto).

La farina, ingrediente principale per la panificazione, è prodotta dalla macinazione dei cereali. Il più utilizzato è il frumento che può essere sostanzialmente di due tipi: tenero e duro.
La farina di grano tenero, a norma di legge viene classificata, a seconda del grado di raffinamento in:
·         farina di categoria 00
·         farina di categoria 0
·         farina di categoria 1
·         farina di categoria 2
·         farina integrale
La farina più raffinata è la 00, mentre quella integrale conserva tutti gli elementi originariamente presenti nel chicco.
I due elementi essenziali contenuti nella farina, che contribuiscono alla panificazione sono l'amido (zuccheri semplici e complessi) ed il glutine (le proteine).
L'amido durante l'impasto assorbe i liquidi, durante la lievitazione grazie all'intervento di alcuni enzimi si trasforma in zuccheri semplici (saccarificazione), rappresentando così il principale terreno di coltura dei lieviti; in cottura l'amido gelatinizza e forma la mollica.
Il glutine invece si ottiene attraverso l'energia fornita dall'impastamento, e alla presenza di acqua. Con l'impastamento le due proteine principali,  la gliadina e la glutenina si fondono dando vita ad un reticolo molto strutturato che rappresenta l'impalcatura della massa lievitata. Il glutine ha capacità estensiva quindi si comporta come una fitta spugna che trattiene il gas prodotto dalla fermentazione degli zuccheri, riuscendo anche ad espandersi sotto la sollecitazione del gas espanso per effetto del calore della cottura.
L'amido ha una limitata capacità di idratarsi (circa il 30-35% del suo peso), rispetto al glutine che è capace di assorbire fino al 200 % di acqua. Una farina che ha un' alta capacità di idratazione é allo stesso momento una farina con una elevata presenza di proteine, cioè di glutine. La "forza" della farina, costituita dalla sua qualità e quantità di proteine, è una caratteristica che deve essere ben nota all'operatore, ed essa coincide con la capacità di idratazione, ossia con la capacità della farina di assorbire acqua. 
Questo è un aspetto molto importante da tener conto in quanto la farina, classificata in base a queste sue caratteristiche, viene individuata per l'impiego nella lavorazione prescelta.
La forza della farina viene espressa in valori di "W":


La conoscenza di questo valore (W), da come si evince dalla precedente tabella, è essenziale per una precisa selezione della farina, in funzione della lavorazione ed al prodotto finito che si vuole ottenere. Ne deriva che la scelta della farina non può e non deve essere casuale. La determinazione di un valore di W è facilmente ottenibile dal "taglio" di una farina forte, con una più debole, a condizione che si conosca il valore di W delle due. A titolo di mero esempio si riporta quanto segue:
Se abbiamo a disposizione due tipologie di farine, una W240 e l' altra W400 e vogliamo usare il 80% della prima e il 20% della seconda facciamo:
  240 x 80=   19200
 400 x 20=     8000
quindi 19200+8000 = 27200
 27200 :100 = W 270
Quindi possiamo stabilire che se tagliamo la farina W240 con il 20% della W400 otterremo un "W" finale pari a 270

Un'altra formula, inversa, ci consente di sapere prima le percentuali di farina da usare per ottenere un determinato W:

- si tenga presente l' esempio precedente, cioè facciamo conto che possediamo una farina W240 ed una W400 
- si decide quale "W" si vuole ottenere con la miscelazione di queste farine, ad esempio un W330
- a questo punto prendiamo il "W" della farina più forte e sottraiamo il W della farina più debole,
quindi  400-240= 160
- dopo aver ottenuto questo primo valore,  prenderemo il W della farina più forte e gli sottrarremo il W che vogliamo ottenere, quindi 400-330=70
- ora abbiamo ottenuto i primi due valori che ci occorrevano, 70 e 160
- dividiamo il 2° valore ottenuto per il 1°:   70 : 160 = 0,4375
- moltiplichiamo il risultato per 100:  0,4375 x 100 = 43,75
- 43,75%   è il valore percentuale della farina con il W minore
- mentre per trovare la percentuale di farina da usare con W maggiore basta naturalmente fare
  100-43,75= 56,25

 in definitiva possiamo dire che per ottenere un W 330 avendo a disposizione una farina con W240 ed una W400 basta miscelare:
43,75%  di farina W240 e 56,25 di farina W400

Qui trovate un documento con i W dichiarati dalle aziende per alcune farina in commercio:


Informazioni presa da questo sito:

Il lievito, comunemente detto lievito di birra perché venne individuato per la prima volta nel 1680 nei sedimenti degli scarti della produzione di birra. Oggi viene prodotto dagli zuccherifici, attraverso un processo industriale, ed è propriamente detto "lievito compresso", perché una volta prodotto viene pressato in parallelepipedi di varia grandezza in base alle destinazioni commerciali. Come materia prima per la preparazione del liquido di coltura del lievito viene usato il melasso (di barbabietola), uno scarto della produzione di zucchero e quindi a basso costo, alimento indispensabile per le cellule del lievito perché ricco di elementi contenenti azoto, sali minerali, vitamine e di zucchero.
Il melasso, derivato dall'industria zuccheriera ("melasso nero"), contiene tutti gli elementi necessari per la crescita del lievito, ma anche sostanze tossiche che vanno eliminate attraverso processi di purificazione per renderlo utilizzabile.
Il lievito di birra si trova in commercio in forma compressa (con il 70 - 72% di umidità ) oppure in forma secca attiva (con un tasso di umidità intorno al1'8%). I vantaggi dell'uso del lievito secco attivo rispetto al lievito compresso consistono in una più lunga durata di conservazione (a temperatura ambiente) e in una maggiore resa.
Esistono due tipi di lievito secco attivo: il lievito disidratato da reidratare (in forma granulosa o sferica) e il lievito istantaneo (in forma di bastoncini). Naturalmente tali vantaggi possono essere facilmente azzerati da una non corretta conservazione del prodotto.
Per adoperare il lievito disidratato è necessario riattivarlo (reidratarlo nell'acqua appena tiepida e poco zuccherata) aggiungendo a una parte di lievito secco quattro parti della soluzione zuccherina (con il 5% di zucchero e il 95% di acqua) a temperatura tra + 35° e +40°. Il lievito viene lasciato per circa 10 minuti nella soluzione zuccherina e quindi immediatamente usato nell'impasto.
L'utilizzo del lievito secco disidratato permette l'impiego di dose basse (la quantità necessaria per un impasto non condito è pari a circa il 50% della quantità di lievito compresso) e garantisce tempi di conservazione più lunghi (in ambiente fresco e asciutto). Per produrre il lievito secco istantaneo, i blocchi di lievito compresso, usciti dalla pressa in forma di spaghetti, vengono sollevati dal getto di aria calda (con temperatura più bassa rispetto a quello dell'essiccatore). Con questo metodo (detto "a letto fluido"), l'essiccamento del levito dura poco tempo, il lievito così ottenuto risulta meno danneggiato dal calore e quindi più attivo e, inoltre, le sue particelle molto porose permettono un elevato assorbimento d'acqua e di conseguenza il lievito può essere aggiunto direttamente all'impasto non richiedendo reidratazione. A causa dei suoi granuli porosi, il lievito istantaneo è capace di assorbire l'ossigeno dell'aria che può provocare una notevole perdita di attività. Per questo motivo deve essere confezionato sottovuoto e la confezione, una volta aperta, deve essere consumata entro breve tempo.
La quantità di lievito secco istantaneo da aggiungere nell'impasto è più bassa rispetto a quella di lievito compresso (mediamente è pari a 1/3).
I funghi noti come lieviti sono microrganismi d'enorme importanza . Queste specie sono usate in tutte le parti del mondo tanto nel processo di panificazione tanto per la produzione di bevande alcoliche fermentate (vino, birra, sakè e sidro).
In generale i lieviti metabolizzano (trasformano) gli zuccheri semplici attraverso due vie: a) via aerobica: in presenza di ossigeno; b) via anaerobica: in assenza di ossigeno.
In condizioni di aerobiosi (cioè in presenza di ossigeno), i lieviti operano la respirazione trasformando gli zuccheri semplici in anidride carbonica, acqua e massa cellulare, ossia riproducendosi.
In condizioni di anaerobiosi (cioè in assenza di ossigeno) i lieviti operano la fermentazione producendo alcool etilico e anidride carbonica nella trasformazione del glucosio. Questi non sono tuttavia gli unici prodotti finali; sono possibili numerose derivazioni secondarie nel corso della fermentazione.  Tali sostanze, pur essendo presenti in quantità ridotta, hanno spesso un ruolo importante nelle caratteristiche organolettiche del prodotto finito.
I lieviti, come abbiamo visto, sono esseri viventi, per cui la loro "vita" durante la conservazione è influenzata dalla temperatura. Temperature elevate determinano l'autolisi delle cellule, cioè causano l'autodistruzione delle medesime. A 50°-60° questi microrganismi muoiono in brevissimo tempo. In teoria il lievito compresso potrebbe essere congelato senza che vengano danneggiati i suoi enzimi, maı una volta scongelato va incontro a "liquefazione", conseguenza del danneggiamento subìto dalle cellule durante il processo di congelamento. Si consiglia di non utilizzare mai il lievito appena tolto dal frigorifero, ma di portarlo gradatamente alla temperatura di lavoro. Così facendo, si permette alle cellule del Saccharomyces cerevisiae di uscire dallo "stress" causato dal freddo e di rivitalizzarsi. La conservazione del lievito può durare:ı
5 giorni a 30°; 15 giorni a 20°; 1 mese a 10°; 2 mesi a 0°.
Le reazioni chimiche che avvengono durante la fermentazione producono calore (sono cioè esotermiche) e il riscaldamento dell'impasto non è sempre compatibile con uno sviluppo ottimale dei lieviti. La maggior parte dei lieviti si sviluppa molto bene tra i 20° e i 30°. Inoltre, per ogni incremento di grado tra i 20° e i 30° si ha un aumento dell'attività fermentativa. Un'avvertenza: oltre i 30° lo sviluppo dei lieviti risente dell'eccessivo calore al punto da arrestare la fermentazione.
L'influenza dell'ossigeno.
La presenza di questo gas non agisce direttamente sul lievito come fattore limitante la crescita, ma più in generale sul suo metabolismo. In presenza di ossigeno (durante la fase di impastamento) i lieviti respirano; in assenza di ossigeno (fase di lievitazione) fermentano.
PH
In generale quasi tutti i lieviti preferiscono un substrato a pH leggermente acido. Il grado di acidità varia da ceppo a ceppo; il Saccharomyces cerevisiae presenta un pH ottimale di 5.5.
Come sappiamo, i protagonisti della fermentazione alcolica sono lieviti, quali sono i funghi unicellulari di tipo Saccaromyces Cerevisiae, appartenenti al gruppo dei Saccaromiceti, che, come gli altri esseri viventi, posseggono capacità riproduttive e fermentative (funzionalità vitali).
Ricordiamo che in condizioni aerobiche (in presenza di ossigeno) i lieviti si moltiplicano, mentre in condizioni anaerobiche (in assenza di ossigeno) fermentano.
In commercio il lievito di birra si trova generalmente in forma compressa o in forma secca attiva. In 1 g di lievito compresso sono contenuti circa 10 miliardi di cellule che, una volta introdotte nell'impasto, se si trovano nelle condizioni adatte cominciano a riprodursi velocemente.
La moltiplicazione delle cellule del lievito risulta più attiva se la loro quantità iniziale è bassa. Per esempio, se la farina dell'impasto contiene lo 0,5% di lievito, l'aumento della massa cellulare del lievito sarà dell'88%, con il 2% di lievito la crescita sarà soltanto del 29%.

La moltiplicazione delle cellule di lievito viene stimolata anche dalla presenza di sostanze necessarie per il loro metabolismo come vitamine e sali minerali. Nella farina ad alta resa questi elementi sono presenti in quantità sufficiente, mentre nelle farine molto raffinate sono contenuti in scarsa quantità e quindi, a volte, devono essere aggiunti nell'impasto per favorire la moltiplicazione del lievito e la sua fermentazione.
Le condizioni ambientali (temperatura, umidità, pH) influenzano molto la moltiplicazione dei lieviti. La temperatura ottimale per la moltiplicazione delle cellule del lievito è +25° +30°, mentre la loro massima attività fermentativa viene raggiunta a +35°.
Come si nota, i lieviti, tramite il complesso degli enzimi contenuti, trasformano lo zucchero (glucosio) in alcol etilico e anidride carbonica. Infatti, il lievito può nutrirsi soltanto con zuccheri semplici come il glucosio, mentre tutti gli altri zuccheri presenti nell'impasto, per poter essere usati dal lievito, devono essere trasformati in zuccheri semplici.
La velocità del processo di fermentazione dipende da vari fattori:

- dalla quantità e dalla qualità del lievito. Se la quantità del lievito è più alta e la sua attività vitale è ottima, la fermentazione avverrà più velocemente. Però, con una quantità di lievito eccessivamente alta (superiore al 6% dalla quantità di farina) si avrà un effetto contrario;
- dalla ricetta. Maggiore sarà la percentuale d'acqua nell'impasto ("tasso di idratazione"), più veloce sarà la fermentazione;
- dal metodo di preparazione. Gli impasti preparati con il metodo indiretto fermentano prima rispetto agli impasti diretti;
- dalle condizioni dell'ambiente in cui avviene la fermentazione.
La fermentazione lattica
Durante la fermentazione (alcolica) dell'impasto si sviluppano anche altri microrganismi, soprattutto batteri lattici. I batteri lattici dell'impasto provengono dal lievito compresso (che li contiene in piccole quantità), ma anche dall'ambiente e dalla farina (sono presenti in particolare nei residui di crusca). Di conseguenza, le farine ad alta resa ne conterranno di più mentre le farine raffinate di meno. Tutti i batteri lattici presenti nell'impasto possono essere divisi in due gruppi in base ai prodotti che formano durante la loro fermentazione:
-eterofermentanti (danno numerosi prodotti);
-omofermentanti (danno un prodotto solo).
I batteri lattici eterofermentanti durante la fermentazione trasformano il glucosio producendo, oltre all'acido lattico (il prodotto principale) e all'anidride carbonica, anche altri acidi organici (acetico, butirrico ecc.). Inoltre formano anche acetone e sostanze chimiche di odore penetrante.
I batteri lattici omofermentanti durante la fermentazione trasformano il glucosio solo in acido lattico. L'acido lattico contribuisce alla conservazione del prodotto, sebbene un suo eccesso nella fase di impastamento (se la temperatura di lavorazione supera i 26°),  può pregiudicare l'attività fermentativa dei lieviti.
Il lievito compresso, quindi, viene aggiunto all'impasto nella quantità dal 0,5 al 5% dalla quantità di farina, secondo la ricetta e il metodo di preparazione. La quantità di lievito necessaria da aggiungere all'impasto dipende da una serie di fattori:
-Dall'attività del lievito. Se il lievito è meno attivo (ha attività enzimatica più bassa), occorre aumentare la sua quantità nell'impasto. Invece, il lievito troppo debole o scaduto non dovrebbe essere usato non solo per la sua scarsa efficacia nella fermentazione, ma anche perché il suo utilizzo provocherebbe un effetto dannoso in quanto contiene la proteina glutariona (un attivatore della proteolisi) che svolge azione liquefacente e di rammollimento nell'impasto.
-Dal metodo di preparazione dell'impasto. Se l'impasto è indiretto, la quantità usata di lievito è minore (nella biga :viene aggiunto circa l'l% di lievito, nel poolish dallo 0,5 al 2,5%). Se il pane viene preparato con la tecnologia del freddo, la quantità di lievito deve essere lievemente aumentata, perché le cellule del lievito vengono parzialmente inattivate dalle basse temperature.
- Dalle condizioni dell'ambiente (temperatura e umidità). La quantità di lievito da aggiungere all'impasto diminuisce con l'aumentare della temperatura e dell'umidità.
-Dal tasso di idratazione dell'impasto. Gli impasti molli fermentano prima degli impasti asciutti e quindi richiedono meno lievito.
-Dalla presenza dei condimenti (zucchero, grasso, uova ecc.). Se l'impasto contiene condimenti, la quantità di lievito può essere aumentata (fino a un massimo del 6%).
A una quantità di lievito più alta corrispondente quindi una fermentazione più attiva dell'impasto. Una quantità di lievito eccessivamente alta (superiore al 6% per gli impasti conditi o al 4% per gli impasti. senza condimenti) rallenterebbe però la fermentazione dell'impasto e diminuirebbe la digeribilità del prodotto finito. Un'elevata quantità di lievito blocca la moltiplicazione delle cellule del lievito stesso perché l'accumulo dei prodotti tossici per le cellule del lievito, deposti durante il loro metabolismo, è talmente alto da "soffocare" le cellule stesse e abbassare la loro attività vitale. Inoltre, una eccessiva quantità di lievito aggiunto nell'impasto aumenta il contenuto di purine nel prodotto finito che risulta dannoso per l'organismo umano e specialmente per il fegato.
Il sale, normalmente in panificazione è il comunissimo sale da cucina (cloruro di sodio). La quantità di sale nell'impasto varia da 1,8 a 2,5% in base alla ricetta e al tipo di farina utilizzata, di solito la sua percentuale è del 2% sul peso della farina.
Esistono alcuni tipi di pane (come il pane toscano) che non contengono sale. L'aggiunta nell'impasto di una piccola quantità di sale (fino allo 0,5%) stimola notevolmente l'attività delle cellule del lievito, perché neutralizza i prodotti del loro metabolismo che hanno azione tossica nei confronti del lievito stesso. Una quantità di sale superiore allo 0,5% rallenta invece lo sviluppo delle cellule di lievito perché favorisce la loro plasmolisi (la cellula viene distrutta dalla pressione del sale che ha un peso maggiore rispetto alla cellula stessa). Il sale svolge un'azione disinfettante nell'impasto in quanto blocca lo sviluppo e l'attività metabolica dei microrganismi. Questo effetto disinfettante è positivo perché inibisce parzialmente i batteri e i microrganismi patogeni responsabili delle malattie del pane (pane filante ecc.) e della crescita delle muffe e, inoltre, inattiva parzialmente gli altri batteri (lattici eterofermentanti e acetici) che, con la loro fermentazione, aumentano l'acidità dell'impasto e determinano nel prodotto un gusto e un profumo troppo forti.
Il sale uccide le cellule del lievito con le quali viene a contatto, provocandone la plasmolisi. Il fenomeno può essere facilmente dimostrato: aggiungendo del sale a pezzetti di lievito compresso dopo qualche minuto fuoriesce acqua dal lievito, perché il sale ha causato la rottura della membrana delle sue cellule. Il sale e il lievito non devono quindi essere messi nell'impasto contemporaneamente, o si aggiunge il sale per ultimo, dopo qualche minuto dall'impastamento, oppure per primo, aggiungendo però solo alla fine il lievito.
Per la sua capacità di inattivare i microrganismi, il sale non dovrebbe essere aggiunto nei preimpasti (biga, poolish) dove si deve sviluppare la microflora (lieviti e batteri lattici), a meno che non sia necessario rallentare la fermentazione (per esempio nel periodo estivo quando la temperatura dell'ambiente è eccessivamente alta).

Lo zucchero e materie grasse, se aggiunti nell'impasto in quantità moderate, influiscono positivamente sulle sue caratteristiche e su quelle del prodotto finito.
Lo zucchero, oltre ad alimentare le cellule del lievito e quindi a stimolare la fermentazione, determina l'aroma e la doratura della crosta del prodotto. Il grasso, invece, svolge soprattutto azione lubrificante nei confronti della maglia glutinica perché interagisce sia con le proteine del glutine sia con l'amido, formando uno strato tra le particelle d'amido e le proteine e amalgamando i vari componenti dell'impasto.
Con l'aggiunta di materia grassa, le proteine della maglia glutinica acquistano quindi una maggiore capacità di prolungarsi e l'impasto risulta più elastico e malleabile. Inoltre la materia grassa, inglobando le molecole previene la dispersione dell'acqua preservando il prodotto dal rinsecchimento.


Il processo di panificazione
In Italia ne esistono fondamentalmente quattro:
metodo diretto - consiste nell'impastare tutti gli ingredienti in un'unica fase
metodo diretto a temperatura controllata - identico al precedente ma con la differenza che l'impasto con pochissimo lievito, viene lasciato fermentare a bassa temperatura (+4°) per periodi di tempo abbastanza lunghi (24/36 ore), in modo da rallentare la fermentazione alcolica e favorire la fermentazione lattica. Questo metodo è molto usato in pizzeria.
metodo semidiretto (con pasta di riporto) - uguale al precedente ma con l'impiego di un parte di pasta di una precedente lavorazione e che pertanto contiene tutti i componenti di una fermentazione completa
metodo indiretto - prevede due fasi distinte. La prima consiste in un preimpasto di farina acqua e lievito (BIGA o POOLISH), che si lascia fermentare per un determinato periodo di tempo ad una data temperatura, a cui poi si aggiungono gli altri ingredienti.

La BIGA
La tecnica denominata "biga", consiste in una lavorazione prolungata suddivisa in due fasi. La prima è un preimpasto costituito da una quantità di farina (rigorosamente forte, almeno 300 W) impastata col 55% di acqua ed una piccolissima quantità di lievito di birra (da un minimo dello 0,5% ad un massimo del 2% sulla farina), e senza sale.

L'impastamento deve essere breve, nel senso che non si deve ottenere una pasta troppo liscia, in quanto con una lavorazione prolungata si accelerano i processi fermentativi.

La temperatura di fermentazione influisce sulla durata della fermentazione stessa. Ciò significa che se vogliamo allungare i tempi per favorire uno sviluppo dei microrganismi più graduale, ad esempio con una biga da 48 ore, dobbiamo tenerla in frigo (+4°), per le prime 24 ore e poi a +18° per il tempo restante. Mentre se vogliamo preparare una biga da 16 ore va tenuta direttamente a temperatura ambiente (+18°). Inutile dire che più i tempi sono lunghi migliore sarà il risultato finale.

Altrettanto dicasi per la temperatura dell'acqua. Evitando (pur preziose) nozioni tecnologiche, è preferibile adottare un piccolo accorgimento: acqua fredda, dal frigo, in estate, ed acqua a temperatura ambiente in inverno. Mentre per la fermentazione è consigliabile effettuarla in frigo in estate, ed a temperatura ambiente in inverno.
Per completezza di informazione più sotto si riporterà un tabella per un calcolo della temperatura dell'acqua più preciso.
Durante questo periodo di fermentazione, il lievito ed i batteri lattici si moltiplicano in maniera esponenziale, per cui alla fine del tempo programmato, avremo una massiccia presenza di microrganismi pronti a fermentare anche la seconda quantità di farina che si andrà ad aggiungere, in base alla ricetta in esecuzione.
Il risultato finale, proporzionalmente alla durata della fermentazione del preimpasto, sarà di altissimo valore, e nettamente superiore al medesimo impasto preparato con metodo diretto (classico), ossia con lievito di birra senza preimpasto, per alcuni di questi fattori:

Ø  prodotto finale molto leggero e digeribile per l'azione combinata dei microrganismi e degli enzimi, l'amido viene scisso quasi totalmente in zuccheri semplici, mentre le proteine vengono in parte demolite. 
Ø  maggiore conservabilità per la presenza di acido lattico.
Ø  gusto e profumo più intenso per la presenza delle sostanze volatili (acido acetico, alcol).
Ricapitolando, la tecnica della biga si può così riassumere:
ü  doppio impasto con suddivisione della farina e dell'acqua complessive.
ü  bassissimo impiego di lievito di birra.
ü  temperatura dell'acqua e dell'ambiente di fermentazione inversamente proporzionale alla durata della biga.
Una volta che la biga ha terminato il tempo di fermentazione programmato, diventa essa stessa un'enorme massa di lievito che fermenterà gli zuccheri che verranno aggiunti con la farina (e quelli del saccarosio eventualmente previsto nella ricetta), per cui è richiesto una seconda fase di lievitazione, che però, per la massiccia presenza di lieviti della biga, potrà essere molto più breve, 2/3 ore. 
CALCOLO DELLA TEMPERATURA DELL'ACQUA nella BIGA
Si consideri che la farina in genere ha una temperatura di 1 grado in meno  quella ambientale, e che la formula prevede un valore costante di 55.
valore costante (55) - temperatura ambiente - temperatura farina = temperatura acqua 
Ipotizzando una temperatura ambiente di 25° si avrà:
valore costante           55-
temp. ambiente           25-
temp. farina                24=

temp. acqua                  6
                                  

Il POOLISH
A differenza della BIGA è un preimpasto liquido, ottenuto con una stessa quantità di acqua e farina è un impiego di lievito variabile in funzione del tempo di fermentazione e della temperatura ambiente. La temperatura media consigliata per una corretta fermentazione è di 20-22°.
Possiamo quindi schematizzare come segue il dosaggio del lievito nel poolish:
·         1-2 ore: 2,5-3%
·         4-5 ore: 1,5%
·         7-8 ore: 0,5%
·         10-12 ore: 0,2%
·         15-18 ore: 0,1%

CALCOLO DELLA TEMPERATURA DELL'ACQUA nel POOLISH
Si consideri che la farina in genere ha una temperatura di 1 grado in meno  quella ambientale, e che la formula prevede un valore costante di 70.

valore costante (70) - temperatura ambiente - temperatura farina = temperatura acqua 
Ipotizzando una temperatura ambiente di 25° si avrà:
valore costante           70-
temp. ambiente           25-
temp. farina                24=

temp. acqua                  21
Anche in questo caso si possono superare i valori scientifici che servono per un processo industriale o comunque di ambito professionale, che non ammette la minima variabile, mentre per una produzione casalinga si può tranquillamente procedere in maniera empirica usando acqua dal frigo in estate ed acqua a temperatura ambiente in inverno.
                                  
Vantaggi del metodo indiretto:
ü  Gusto e profumo più ricchi ed intensi per effetto della fermentazione lattica che produce acidi organici.
ü  Maggior sviluppo e resa per una maggior estensibilità della maglia glutinica
ü  maggiore digeribilità perché l'amido è stato scisso e le proteine parzialmente degradate
ü  maggiore conservabilità, e maggior resistenza agli agenti patogeni per la presenza di acido lattico
ü  accelerazione dei tempi finali di impastamento e lievitazione
ü  minore impiego di lievito con conseguente riduzione di reazioni gastriche
Svantaggi del metodo diretto:
ü  costi più alti dovuti impiego di farine più costose
ü  necessità di avere spazi di conservazione del preimpasto
La laminazione.
Subito dopo l'impastamento, alcuni tipi di impasto possono essere sottoposti alla laminazione (cilindratura dell'impasto), passando attraverso i rulli di un cilindro che li rende più lisci e compatti, oppure, in ambito casalingo, utilizzando un matterello e sottoponendo l'impasto a due/tre cicli di laminazione. Questa operazione si effettua soprattutto con gli impasti asciutti.
Gli impasti molli non possono essere cilindrati mentre per gli impasti morbidi l'operazione della cilindratura è facoltativa e, se effettuata, solo con pochi passaggi. La laminazione dell'impasto serve per ottenere un prodotto di volume maggiore e con mollica più sviluppata, fine e omogenea, con alveoli più piccoli e numerosi.
Simili risultati si possono conseguire anche con le "pieghe". Per verificar10 basta prendere un impasto della ricetta morbida e dividerlo a metà, con una porzione formare delle pieghe lasciando l'altra soltanto a fermentare: nel primo caso il prodotto finito risulterà voluminoso, con la mollica più sviluppata e omogenea, mentre nel secondo il volume sarà inferiore e la mollica meno fine. Queste differenze sono dovute al fatto che, all'inizio della fermentazione, il glutine dell'impasto è ancora debole e le bollicine del gas (CO) lo rompono facilmente e formano bolle più grandi. Se l'impasto è privo di pieghe, la porosità non si presenta omogenea, ma con alveoli grossi e irregolari (simile alle mollica della ciabatta). Durante la cilindratura o la formazione delle pieghe, le bolle più grosse di anidride carbonica fuoriescono dall'impasto e, successivamente, si creano numerose bollicine che determinano la struttura della mollica (più omogenea e più fine) nel prodotto finito ottenuto da un impasto più lavorato:
La laminazione dell'impasto influisce anche sull'attività del lievito. In un impasto non schiacciato l'intensità della fermentazione diminuisce lentamente perché le cellule del lievito, durante la fermentazione, sono ferme nell'impasto, quindi consumano gli zuccheri della stessa zona che si impoverisce progressivamente di sostanze nutritive. Nello stesso tempo, l'apporto di nuove sostanze nutritive è ostacolato dalla densità dell'impasto (soprattutto se del tipo asciutto) e, nella zona attorno alle cellule del lievito, si accumulano i prodotti tossici del loro metabolismo che agiscono da inibitori (abbassano l'attività della cellula e, se la loro quantità è troppo alta, la inattivano completamente).
Con la laminazione o con la formazione di pieghe, la massa dell'impasto viene rimescolata e le zone intorno alle cellule del lievito rinnovate, permettendo alle cellule di nutrirsi e ai prodotti tossici di venire eliminati. La fermentazione risulta di conseguenza più attiva e il volume dell'impasto aumenta in breve tempo.
La laminazione moderata dell'impasto influisce positivamente sulle caratteristiche organolettiche (aroma e gusto) del prodotto finito perché, durante la lavorazione dell'impasto, fuoriescono alcune sostanze volatili (prodotte dai batteri lattici, acetici ecc.) che possono conferire al prodotto finito un gusto e un profumo troppo forti; invece la laminazione eccessiva può deteriorare le caratteristiche organolettiche e strutturo-meccaniche dell'impasto.
Lo scopo principale della laminazione dell'impasto o della formazione delle pieghe è rinforzare la consistenza e resistenza dell'impasto che, durante la lavorazione, utilizza l'ossigeno dell'aria per formare nuovi legami disolfurici nel glutine che aumentano la resistenza della maglia.
Puntatura e pirlatura
La puntatura e la pirlatura sono due fasi immancabili per una corretta lavorazione di un impasto lievitato.

La puntatura consiste in un riposo della massa su un piano lavoro, che va dai 15 minuti per impasti semplici, fino a 1 ora per quelli complessi come i grandi lievitati.
Durante questa fase, il glutine che è stato sollecitato a formarsi con l'impastamento, si consolida, e la fermentazione alcolica si attiva. Dalla durata della puntatura dipende anche l'ampiezza degli alveoli, in quanto un glutine sviluppato ha una maggiore capacità meccanica di sopportare la spinta dell'anidride carbonica.
La pirlatura (pirla=trottola), si effettua dopo la puntatura e consiste nel far effettuare alla massa già spezzata nelle quantità date, una movimento rotatorio su se stessa con contestuale strofinamento sul piano. Esistono varie tecniche, in base alla formazione dell'operatore ed in base alla consistenza della massa, a tal proposito ci si può aiutare o meno con l'uso di un tarocco da pasticciere.
La pirlatura serve a superare quegli inconvenienti tecnici dati da un impasto molto molle (molto idratato), altrimenti difficile da manipolare, destinato a collassare durante la lievitazione e durante la cottura. La pirlatura infatti serve a conferire ulteriore consistenza e stabilità alla maglia glutinica, ed a creare una sorta di involucro esterno, una sorta di membrana (come un palloncino pieno di acqua) che trattiene al suo interno tutte le sostanze volatili che poi si espanderanno per effetto del calore della cottura. La differenza tra due prodotti di cui uno "puntato e pirlato" ed un altro no, è notevole! Un prodotto correttamente lavorato avrà un maggior sviluppo complessivo pari circa al 30% ed una  cottura migliore perché una buona alveolatura favorisce la penetrazione omogenea del calore all'interno della "maglia glutinica"
Che cosa succede durante la cottura
La cottura è un processo di riscaldamento delle forme lievitate che trasforma l'impasto in prodotto cotto. Durante la cottura avvengono numerosi fenomeni: sviluppo in volume del prodotto, formazione della mollica e della crosta, produzione di aromi e della caratteristica colorazione del pane, diminuzione dell'umidità e del peso. Se il prodotto è stato correttamente preparato, durante la prima fase della cottura assisteremo ad un suo sviluppo repentino. Questo fenomeno è dovuto ad un'accelerazione dell'attività dei microrganismi, che sollecitati dal calore aumentano la loro attività metabolica, producendo alcol, acidi vari ed anidride carbonica. Contemporaneamente il gas prodotto viene espanso, mentre una parte  delle sostanze liquide e volatili come acqua, acidi ed alcol etilico sempre per effetto del calore  passano dallo stadio liquido allo stadio gassoso spingendo così la massa e contribuendo all'espansione degli alveoli della mollica. Questo fenomeno avviene correttamente quando la struttura della maglia glutinica non è stata danneggiata da una prolungata lievitazione.
Un corpo può ricevere il calore in tre modi:
-per conduzione, quando il calore viene trasmesso da un corpo soli
do all'altro se messi a contatto diretto tra loro. Esempio: una mano appoggiata sul calorifero caldo si riscalda per conduzione;
-per convenzione, quando una quantità di particelle liquide o gasso
se si sposta portando con sé il calore. Esempio: entrando in una sauna, il corpo umano viene investito dall'aria calda e dal vapore acqueo e riceve il calore per convenzione;
-per irraggiamento, quando il calore viene trasmesso nello spazio attraverso le onde elettromagnetiche. Esempio: il calorifero di una stanza trasmette il calore all'aria che lo circonda soprattutto con l'irraggiamento, ma anche con la convenzione se l'aria calda si muove all'interno della stanza.
Il pezzo dell'impasto, quando viene sottoposto a cottura, riceve il calore che gli viene trasmesso attraverso i tre metodi descritti, secondo il tipo di forno usato. Nei panifici artigianali, vengono maggiormente utilizzati i forni "a platea" e rotativo, molto diversi tra loro e con sistema di cottura totalmente diversa.
Nel forno "a platea" la camera di cottura è orizzontale, il prodotto viene infamato direttamente sulla platea o su teglie. Il prodotto all'interno della camera di cottura di un forno "a platea"è fisso e riceve il calore sia per conduzione (dalla platea) sia per convenzione (dall'aria calda, dal vapore acqueo) sia per irraggiamento (dalle pareti laterali e dal "cielo"). Il prodotto cotto nel forno "a platea" aumenta velocemente di volume all'inizio della cottura e risulta più grande al centro che ai lati.
Non appena inserito in forno un pezzo di pane viene investito dal calore e la superficie raggiunge rapidamente i 100°, a fine cottura arriva a 140/160°, mentre la mollica verrà investita in maniera graduale e progressiva, solo a fine cottura raggiunge i 95/100°.
I fattori che influenzano la cottura sono così schematizzabili:
ü  temperatura della camera di cottura
ü  umidità della camera di cottura, derivante dalla volatilizzazione dell'acqua contenuta nell'impasto e dal vapore eventualmente aggiunto prima e durante la cottura. Il vapore in ambito casalingo si aggiunge o spruzzando un po' di acqua sulle pareti interne del forno o inserendo nel forno stesso un pentolino di metallo pieno di acqua sin dall'inizio. L'umidificazione è un accorgimento molto prezioso in quanto, essendo il pezzo di pasta ad una temperatura relativamente bassa (circa 30°), sulla sua superficie condensa il vapore contenuto nella camera, che viene in parte assorbito dalla porosità dell'impasto stesso. Con la condensazione del vapore si deposita anche il calore in esso contenuto, per cui la cottura avviene in minor tempo ed in modo più graduale. Quando la temperatura del pane raggiunge i 100° (temperatura di ebollizione dell'acqua), avviene il processo inverso. Inoltre una buona dose di vapore rallenta la formazione della crosta con conseguente maggiore estensibilità e sviluppo; rallenta la caramellizzazione degli zuccheri con conseguente colorazione graduale della superficie.
ü  massa e forma del pezzo di pasta, i formati più grandi richiedono, a parità di peso, maggior tempo (es. 10 pagnotte di 100 gr richiedono meno tempo di una sola pagnotta da 1 kg), perché il calore deve superare un ostacolo maggiore per penetrare al cuore del prodotto. Altrettanto dicasi per una forma alta che richiede maggior tempo rispetto ad una forma schiacciata.
ü  tasso di idratazione, una maggior idratazione dell'impasto riduce i tempi di cottura in quanto il liquido dell'impasto si riscalda più facilmente.
ü  porosità e grandezza degli alveoli, con alveoli più aperti la migrazione del calore avviene più rapidamente.
ü  spessore della crosta, una crosta spessa (dovuta ad eccessiva a asciugatura della pasta prima di infornarla) rende meno accessibile il calore all'interno della forma.

















Ricettario

Pane di rimacinato metodo indiretto (14/16 ore)
Biga:
·         farina di rimacinato 500 g
·         acqua 250 g
·         lievito 5 g

Impastare per 10/12 minuti quindi mettere a fermentare per il tempo programmato.

Impasto:
·         biga
·         farina di rimacinato 500 g
·         acqua (60% sul totale della farina) 350 g
·         lievito (2% sul totale della farina aggiunta) 10 g
·         malto o zucchero (0,5% sul totale ella farina) 5 g
·         sale 22 g

Impastare la biga col resto degli ingredienti aggiungendo il sale solo alla fine. Lasciar riposare il pastone, spezzare, e arrotondare le forme ben strette. Lasciar riposare per 50/60 minuti con chiusura sopra. Capovolgere e incidere una croce sopra. Cuocere a 230° con poco vapore lasciando alla fine della cottura la porta del forno semiaperta per far uscire il vapore.



Ciabatta con Biga (metodo indiretto)
biga di 20/24 ore:
farina tipo 00 W 320
1.000 g
acqua
440 g
lievito
10 g  (5 in estate)

impastare per 15 minuti
·         biga come sopra
·         farina W 260 100 g
·         acqua (70% sul totale della farina) 330 g
·         lievito (2% sulla farina aggiunta) 2 g
·          malto o zucchero (1% sul totale della farina) 11 g
·         sale (2% sul totale della farina) 22g
preparare la biga e dopo le 20/24 ore  impastarla con gli altri ingredienti, tranne il sale che sarà aggiunto a metà impasto e il 20% di acqua che sarà aggiunta lentamente dopo il sale. Lasciar riposare in un contenitore unto d'olio a 27° per 35/40 minuti,  poi rovesciare delicatamente la pasta sul tavolo da lavoro, dividere in pezzi del peso desiderato e sistemarli su tavole ben infarinate con la parte del taglio rivolta verso l'alto. Lasciar lievitare per 35-40 minuti, poi girare delicatamente e allungare leggermente. Infamare con vapore a 230-240° C, terminando la cottura con tiraggio aperto. Il tempo di cottura è determinato dalla pezzatura.



Ciabatta con semola di grano duro
Ingredienti biga (16/18 ore): farina 00 W 320
500 g
farina di semola di grano duro rimacinata
500 g
acqua
500 g
lievito
10 g

·         biga
·         farina di semola rimacinata di grano duro 100 g
·         acqua (70% sul totale della farina) 270 g
·         lievito (2% sulla farina aggiunta) 2g
·         malto o zucchero (0,5% sul totale della farina) 5 g
·         sale (2% sul totale della farina) 22 g



preparare la biga e dopo le 16/18 ore di fermentazione impastarla con gli altri ingredienti, tranne il sale che sarà aggiunto a metà impasto e il 20% di acqua che, sarà aggiunta lentamente dopo il sale. Lasciar riposare l'impasto in un contenitore unto d'olio per 40 minuti circa, poi rovesciare delicatamente la pasta sul tavolo da lavoro, dividere in pezzi del peso desiderato e sistemarli su tavole ben infarinate con la parte del taglio rivolta verso l'alto. Coprire e lasciar lievitare per 35/40 minuti, poi girare delicatamente e allungare leggermente i pezzi. Infamare con vapore a 230/240° C. Il tempo di cottura è/determinato dalla pezzatura.


Rosetta soffiata
Preparazione della biga
Ingredienti:
Farina: 1 Kg (W compresa tra 280 e 330).
Acqua: 0,44 l -44.0% della farina.
Lievito: 10 g -1.0% della farina (in estate 5 g).
Impastare tutti gli ingredienti per 15 minuti
Preparazione dell'impasto
Ingredienti dell'impasto:
·         Biga.
·         Farina: 100 g -10.0% sul totale della farina
·         Acqua: 0.160 l -53.0% in totale e sul totale della farina
·         Sale: 22 g -2.0% sul totale della farina
·         Malto: 10 g -1.0% sul totale della farina
Procedimento
Impastare tutti gli ingredienti tranne il sale che verrà aggiunto verso la fine di questa fase. Lasciare riposare l'impasto 5-10 minuti in funzione della sua forza e cilindrare due o tre volte. Dividere l'impasto in pezzi del peso voluto e formare un pastone , ungendolo successivamente con olio di oliva consigliabile coprire con tele di plastica). Lasciar lievitare a temperatura ambiente per circa 40 minuti. Spezzare e stampare con l'apposito stampo per rosette o con un tagliamela. L'operazione di stampaggio si effettua regolando la pressione degli stampi in funzione della forza dell'impasto. Coprire i pezzi di pasta stampati con una tela di plastica. Se l'impasto è debole si consiglia di lasciare rivolta la stampatura verso il basso e di girare le forme prima di infornare. Lasciar lievitare circa 40 minuti a temperatura ambiente. Infornare a 240-250°, con vapore prima e dopo l'infornamento.



pan canasta
ingredienti per pirottino del tipo per panettone milanese (circa 1 kg di prodotto finito):
pre-impasto (18/20 ore)
farina americana del tipo “Manitoba” 100 gr.; lievito di birra 5 gr.; Acqua 50 gr.; impastare per bene e lasciar lievitare per 18/20 ore.
Secondo impasto:
·         150 gr. della pasta “di riporto o biga” di cui sopra; 
·         500 gr. Farina forte (manitoba); 
·         50 gr. tuorli 
·         100 gr. uova intere; 
·         150 gr di burro; 
·         20 gr. di miele; 
·         5 gr. lievito di birra 
·         15 gr. sale (da aggiungere rigorosamente alla fine della lavorazione); 
·         50 gr. acqua 

Brioscine palermitane

farina "00" 300 W gr. 1.000
uova 1
acqua ml 550
lievito compresso gr. 40
strutto gr. 100
zucchero gr. 50
sale gr 10

LAVORAZIONE
Preparare un lievitino con il compresso, un po' d'acqua e 50 gr. di farina. Lasciar lievitare per 1 oretta. Impastare il resto della farina, il sale lo zucchero, e gradualmente l'acqua. Alla fine l'uovo. Far incordare per bene, poi aggiungere lo strutto e far riprendere la corda. Lasciar riposare 1 oretta, e poi utilizzare la pasta per brioscine, panini da farcire o pizzette. Lasciar lievitare ancora, per un periodo che da da un minimo di 1 ora ad un max di 2.5 a seconda della temperatura di lievitazione. A piacere spennellare con uovo e guarnire con sesamo o altri semini prima di infornare. Cuocere a forno già caldo 190°.

Variante con Biga:
(stessi ingredienti ma con soli 15 grammi di lievito di birra):
prendere 500 gr. della farina complessiva ed impastare con 300 gr di acqua e 5 gr di lievito. Mettere a lievitare al coperto e a temperatura ambiente per circa 16/18 ore. Passato tale periodo proseguire come previsto nella ricetta ed aggiungendo il restante lievito di birra.

Pane misto nero di Tumminia (metodo diretto temperatura controllata)
·         1000 gr farina "forte"
·         500 gr farina integrale di tumminia
·         8/900 gr acqua
·         15 gr lievito compresso
·         25 gr sale

A scelta si possono aggiungere anche un po' di semini aromatici, tipo: girasole, zucca, lino, papavero, per conferire ulteriore gusto e nutrienti. Impastare per 20 minuti, quindi puntare mezz'ora,  e pirlare 2/3 volte. Spargere abbondante farina su un canovaccio di tela grossa, sistemare la pasta con la chiusura rivolta verso l'alto, racchiudere il canovaccio e sistemare in una cesta o ciotola almeno il doppio della massa di pane. Lasciar lievitare in frigo per 15/16 ore, quindi proseguire la lievitazione a temperatura ambiente per altre 2/3 ore. Terminata la fase di lievitazione capovolgere con massima delicatezza la massa su una teglia rivestita di carta forno e cuocere a 190° con vapore, il tempo necessario in base alla dimensione delle forme.

Pane in cassetta (pan carrè)
Ingredienti ( per 1 cassetta da circa 1 kg):
·         BIGA di 18 ore composta da 150 gr di farina, 100 di acqua e 2 gr di lievito compresso
·         550 g di farina bianca “00” (W350);
·         10 gr lievito compresso,
·         1 tuorlo d'uovo;
·         15 gr. di sale;
·         2 cucchiai di miele;

·       300 gr latte intero fresco. 


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